Patto per la rigenerazione urbana: riflessione su un’urgenza condivisa

Dal nostro punto di vista – quello di un «costruttore» che ha voluto associare la propria attività alle istanze dello sviluppo sostenibile – il documento di confronto proposto da AUDIS, GBC Italia e Legambiente non può che essere accolto in primo luogo per la centralità del suo presupposto: il richiamo alla condivisione delle responsabilità di ogni interlocutore coinvolto negli interventi necessari alla rigenerazione urbana e territoriale, da cui deriverebbe anche, come conseguenza ineludibile e auspicabile, il necessario riposizionamento dell’edilizia – con una valenza nuova – nel ruolo in cui i tempi la reclamano. Ruolo, questo, in cui il «buon costruire», considerato su più livelli (istituzionale, sociale, urbanistico, d’impresa) e reso organico al panorama d’insieme che li ricomprende tutti, potrebbe partecipare all’attivazione simultanea e condivisa di benefici economici, occupazionali, ambientali, territoriali e culturali.

«Audis, GBC Italia e Legambiente sono convinte che sia giunto il momento di fare un passo avanti in questa direzione e che l’esperienza e la tradizione urbana italiana consentano di proporre un nuovo progetto a tutte le forze sociali ed economiche: gli Ecoquartieri in Italia come patto per la rigenerazione urbana».

La presentazione del loro documento programmatico istituisce dunque le linee guida preliminari per la definizione di un modello di Patto a cui i soggetti coinvolti possano ispirarsi per la definizione di responsabilità, diritti e doveri, garanzie e benefici che deriverebbero ai contraenti nel perseguire insieme gli obiettivi individuati. Con il proposito di istituire una «strumentazione di supporto» (anch’essa da definire) che indichi i percorsi di progettazione partecipata degli ecoquartieri e i meccanismi che possano fornire le dovute garanzie a ogni interprete.
Posti di fronte ai teoremi da cui scaturisce il progetto – e tratti in causa direttamente, in qualità di operatori del settore – non possiamo sottrarci alla seria riflessione su un percorso che reputiamo praticabile, se non addirittura essenziale. Da una parte, perché corrisponde ai lineamenti del nostro stesso impegno, da quasi vent’anni, quando individua il ruolo delle imprese nella necessità di tendere all’innovazione sostenibile. Dall’altra, perché a nostro vedere il documento ha il grande – e raro – merito di leggere la realtà, prendendovi slancio. I nodi di partenza, i temi e le soluzioni organizzate nell’idea del Patto, infatti, sono gli stessi che emergono ogni giorno, nel nostro confronto quotidiano con altri operatori che non dimenticano l’esperienza e il valore intrinseci al loro “mestiere”. Mestiere che, purtroppo, è talvolta improvvisato con un eccesso di disinvoltura – e con tutte le ovvie ed evidenti conseguenze del caso.
L’urgenza sempre più sentita, insomma, sembra proprio quella di trovare una risposta corale alla domanda di evoluzione dell’intero settore. Che a sua volta non può restare sordo di fronte alla domande sociali e culturali che gli vengono poste.

La risposta? Potrebbe davvero essere quella di

«definire un gioco fiduciario a somma positiva, dove ogni soggetto, mentre svolge la propria specifica funzione e persegue la propria legittima strategia, si fa carico anche di una parte delle esigenze complessive».

Si tratta, ora, di prendere coraggio e mettere in campo ognuno la propria esperienza.

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